Prova Confronto: Alfetta VS Alfa 90

E’ il 1972 e l’Alfa Romeo presenta al pubblico la sua nuova creatura: L’Alfetta.
Il compito della nuova nata è impegnativo perchè si tratta di confermare e se vogliamo anche rafforzare il dominio dell’Alfa nel settore delle berline prossime ai due litri in cui la casa del Biscione ha sempre dettato legge.

L’Alfetta il cui nome risale ai tempi delle gloriose 158/159 che corsero e vinsero il campionato mondiale nel 1950/51 è ideata secondo le indicazioni di Giuseppe Busso e si dimostra fin da subito all’altezza della situazione. A farla da padrone è ovviamente la particolare disposizione meccanica scelta per questo nuovo modello (sigla di progetto 116) in cui spicca disposizione secondo lo schema “Transaxle” degli organi meccanici.
Troviamo quindi il leggendario bialbero Alfa di 1779 cc ereditato dalla gloriosa “1750” posizionato anteriormente e il gruppo frizione-cambio-differenziale posizionato dietro. Tale disposizione unita ai freni posteriori “inboard” permette una eccellente distribuzione dei pesi e il contenimento delle masse sospese. Il comparto sospensioni vanta un raffinato schema a quadrilatero per l’avantreno in cui la barra di torsione funge da elemento elastico mentre al posteriore ritroviamo un ponte “De Dion” con parallelogramma di Watt. Tale scelta deriva dalle esperienze fatte dai tecnici Alfa negli anni 50 una su tutte quella relativa alla 2000 Sportiva una conceptcar realizzata nel 1954.
Concludiamo con la linea frutto del centro stile Alfa Romeo estremamente moderna e piacevole in quanto capace di essere aggressiva ma al contempo elegante.
La sua carriera fu subito di grande successo e alla berlina si affiancò nel 1974 la versione “Gt” disegnata da Giugiaro.

Seguirono negli anni numerose versioni con motore 1.6-2.0 sia a carburatori che ad iniezione e verso la fine degli anni 70 arrivò anche la motorizzazione a gasolio…Nel 1983 in occasione di un’ulteriore aggiornamento della gamma venne presentata la versione Quadrifoglio Oro con motore alimentato ad iniezione Bosch Motronic e variatore di fase, una chicca quest’ultima non da poco in quanto l’Alfa coprì da brevetto questa sua invenzione. Non ci soffermeremo sull’evoluzione del modello in quanto ci sono già numerosi articoli in merito e si toglierebbe comunque spazio al confronto tra i due modelli.
L’Alfa 90 viene presentata alla fine del 1984 e a lei è affidato il duro compito di sostituire l’Alfetta nel cuore degli Alfisti e nel settore delle due litri, settore in cui negli ultimi anni la concorrenza aveva iniziato a recuperare fette di mercato da non sottovalutare.
Si riparte quindi dall’Alfetta per riconfermare il dominio Alfa tra le berline ad alte prestazioni e lo si fa affidando a Bertone il compito di ridisegnarne la linea.

Il risultato fu abbastanza soddisfacente…La 90 si presentava classica ma moderna. Il richiamo all’Alfetta era evidente ma nessun lamierato era lo stesso del modello precedente e la linea apparentemente spigolosa celava una notevole cura aerodinamica. Nella 90 ogni angolo è smussato, i gocciolatoi sono carenati e uno spoiler mobile posizionato sotto al paraurti anteriore svolge il compito di aumentare la portanza dell’avantreno alle alte velocità. Una scalfatura corre lungo la fiancata per snellire la linea e fornire al contempo la giusta rigidità alle lamiere. Una soluzione quest’ultima ripresa in seguito con maggior successo ed equilibrio formale anche da altri designer (vedi 164).
Sul fronte della meccanica ci furono molti affinamenti e si puntò per l’alto di gamma su due versioni con motore v6.
Alla base scompare il motore 1.6 quindi si parte dal collaudato quattro cilindri di 1779cc alimentato con due carburatori doppio corpo a cui venne affiancato un 2.0
Lo stesso 2.0 venne riproposto con alimentazione ad iniezione fino ad arrivare ai 6 cilindri di 2/2.5 Litri alimentati ad iniezione. La versione diesel di 2.4 cc è ovviamente motorizzata VM.
Sul fronte telaistico ci furono vari aggiornamenti…Uno su tutti la possibilità di ottenere il servosterzo purtoppo non disponibile sull’Alfetta e il nuovo comando isostatico per il cambio realizzato per eliminare i difetti di manovrabilità che secondo alcuni avevano penalizzato la carriera dell’Alfetta.

Dopo questa breve e se vogliamo incompleta descrizione generale passiamo all’esame delle vetture da noi confrontate.
Si parte dall’Alfetta del 1974 del Nostro Socio Raffaele Benincasa confrontata con la 90 1.8 del Socio Antonio Reale.
Si tratta di sue vetture apparentemente molto simili in quanto realizzate su una meccanica pressochè identica ma, gli anni e i continui affinamenti a cui è stata sottoposta l’Alfetta nella sua più che decennale carriera hanno indubbiamente lasciato il segno. L’Alfetta sin da subito dimostra il suo carattere sportivo…Il motore potente e dalla voce grossa fa vanto delle sue regolazioni non particolarmente attente nei confronti delle emissioni il tutto abbinato ad una rapportatura del cambio piuttosto azzeccata. Il ridotto sbalzo anteriore e la taratura delle sospensioni piuttosto rigida conferisce all’Alfetta il carattere tipico della berlina sportiva da famiglia, ma col passare degli anni queste caratteristiche divennero sempre meno evidenti…Vuoi per le leggi di mercato , vuoi perchè l’Alfetta si stava ritagliando un ruolo di vettura di classe veloce e comoda nei viaggi e al contempo meno grintosa per via di una taratura meno sportiva delle sospensioni e per via della scelta di contenere le emissioni e quindi i consumi…tale strada trovò conferma quando nei primi anni 80 vennero introdotti i cambi con rapporti lunghi. Tali scelte si ripercuoteranno sulla 90 e in parte ne decreteranno il complessivo insuccesso commerciale, nonostante le molte indiscutibili qualità.

Le altre versioni prese in oggetto sono l’Alfetta Quadrifoglio Oro e la 90 2.0 i.e.
Dotate della medesima motorizzazione sono piuttosto simili anche come impostazione generale…l’Alfetta ’83 rappresenta l’ultimo aggiornamento della fortunata berlina di Arese e racchiude dentro di se molte soluzioni poi viste sulla 90…Basta salire a bordo e alzare lo sguardo per ritrovare su entrambe il favoloso “imperiale” con le pulsantiere dei quattro vetri elettrici e i comandi per le varie plafoniere sparse da davanti a dietro…Sull’Alfetta Quadrifoglio poi, l’elettronica la fa da padrona…Check control, computer di bordo e il comparto alimentazione con iniezione elettronica Motronic e variatore di fase conferiscono all’Alfetta seppur stagionata il ruolo di vettura altamente al passo coi tempi. Sulla 90 ritroviamo la medesima impostazione ma abbinata ad una semplificazione dell’allestimento…Niente volante e pomello in finto legno e un clima più austero e forse più in sintonia con lo spirito sportivo che contraddistingueva queste vetture.

Molto curata negli interni e veramente comoda, la 90 dimostra quanti sforzi vennero fatti per non far mancare nulla alla clientela a cui era destinata…Servosterzo, condizionatore, impianto antiskid il tutto apparentemente al passo coi tempi ma questo non bastò secondo molti a rendere la 90 all’altezza della sua progenitrice.
Noi da inguaribili appassionati la riteniamo certamente all’altezza ma il tutto va sempre e comunque contestualizzato secondo l’epoca e il periodo vissuto sopratutto dall’Alfa Romeo: una azienda ricca e in espansione nel 1972, in perdita e mal gestita dalla politica nel 1984. Di certo, a dispetto delle notevoli energie impiegate per sviluppare ed evolvere il mostro sacro sacro Alfetta in qualcosa che ne perpetuasse il mito in chiave più moderna, la 90 agli occhi del pubblico non specializzato continua purtroppo a rimanere una sfortunata e breve parentesi trai i tanti capolavori dell’ Alfa che fu.

[Marco Persico]